Il nostro preparatore dei numeri uno si racconta e parla di Mammarella e del suo delicato ruolo
Dopo una carriera da calcettista nei campionati nazionali tra B ed A, ha proseguito dopo il calcio giocato con una carriera da allenatore e tecnico con notevoli successi e tante collaborazioni sportive, anche fuori dai nostri confini nazionali.
Come valuta la figura sportiva del portiere in Italia? Crede sia adeguatamente considerata rispetto all’importanza che questo ruolo così delicato riveste?
”È innegabile che nel corso degli anni l’importanza della figura del portiere è aumentata, basti pensare che oggi hanno premi ed emolumenti fino qualche decennio fa impensabili. Non di rado sono chiamati ad interpretare ruoli ti testimonial per vari prodotti di marca, spesso li vediamo in televisione. Cosa non così scontata per chi ha più di quarant’anni”.
Come giudica il livello generale della preparazione tecnica dei portieri che partecipano al nostro massimo campionato di A?
“Credo che il livello dei portieri del massimo campionato di calcio a cinque italiano sia più che buono, lo dico con assoluta certezza”.
Secondo lei di cosa ha bisogno un portiere per far sì che il suo rendimento sia costantemente al massimo?
“Quando giocavo a calcio mi dicevano che un buon portiere è colui che sbaglia due partite in una stagione, ne fa vincere un altro paio ed è affidabile per le altre. Quindi sono cresciuto con la convinzione che rimanere costantemente al massimo sia impossibile. Praticamente impossibile. Fatta tale premessa, si lavora affinché si possa realizzare questa utopia tramite il lavoro costante del preparatore e l’abnegazione dell’atleta”.
Secondo lei quanto conta per un portiere la capacità di gestire le pressioni emotive che il ruolo richiede? Pensa questo aspetto sia più importante rispetto a quello puramente tecnico?
“Ritengo senza ombra di dubbio che la capacità di gestire le emozioni faccia la differenza tra un buon portiere e uno ottimo. Ovvio che, per essere grande, bisogna possedere anche doti tecniche e fisiche, ma reagire ad un errore o saper sostenere le pressioni dell’ambiente non è da tutti. Stefano Mammarella, ad esempio, è uno di questi portieri”.
A proposito di Mammarella, cosa si prova ad allenare uno dei migliori portieri al mondo?
“Come ho detto altre volte, allenare un professionista come Mammarella, da anni fra i migliori al mondo, è stimolante, esaltante e anche estremamente gratificante. Al tempo stesso, è una grossa responsabilità. Un’eventuale sua flessione di rendimento sarà sotto gli occhi di tutti, lavorare per migliorare un atleta di tale spessore è difficile, perché rischi di rovinare qualcosa”.
Quanto conta secondo lei per un preparatore lo sviluppo di una propria metodologia di lavoro?
“Se avere una “propria metodologia di lavoro” vuol dire seguire un percorso personale di studi, esperienza e personalità confermo che ha la sua importanza. Ho giocato a calcio e nella massima serie di calcio a cinque, lavoro con i portieri da quasi trenta anni (il primo a invitarmi a cimentarmi fu il prof Di Musciano), ma mi documento in continuazione, perché il nostro è un ruolo in continua e dinamica trasformazione. Quindi leggo libri, osservo video e mi confronto con i colleghi della mia e di altre specialità”.
Secondo lei il nostro vivaio nazionale garantirà un adeguato ricambio generazionale nella nazionale maggiore?
”Credo che sostituire nell’ordine i vari: Bergamini, Carletti, Rinaldi, Angelini, Feller, Farina ed infine Mammarella non sarà semplice. Sono convinto però che l’Italia avrà sempre un portiere all’altezza. Il panorama non mi sembra così arido. Micoli, Molitierno, Casassa e altri mi sembrano già pronti. Sicuramente bravi. Ora hanno bisogno di esperienza e verificare se hanno quel “quid” in più per diventare bravissimi: la personalità”.
La sua più grande soddisfazione da preparatore è stata?
“Scontato dire che Stefano è il fiore all’occhiello, ma potrei anche aggiungere che otto ragazzi locali, uomini e donne, sono stati convocati in Nazionale per la prima volta mentre lavoravano con me, e sicuramente potrei aggiungerne tanti altri che mi hanno dato moltissime gioie e soddisfazioni”.
Quanto conta il rapporto umano e il dialogo con i propri portieri, e quanto invece quello con lo staff tecnico della squadra (allenatore, preparatore atletico)?
“È importante se non addirittura fondamentale creare un giusto rapporto professionale con l’atleta. Ognuno ha il suo modo ed il proprio metodo. E’ doveroso però instaurare un dialogo basato sulla reciproca stima e fiducia. Siamo dei sarti pronti a cucire un lavoro personalizzato sul nostro portiere. E lui deve affidarsi a noi. Altrettanto importante stabilirlo con lo Staff. Ad esempio, al momento vivo un momento di magica collaborazione con Paolo Aiello e Antonio Ricci, collaboriamo in maniera spontanea e propositiva. Discutiamo di ogni aspetto, dove ognuno si assume le proprie responsabilità di competenza. Ma reputo questo aspetto fondamentale”.
Crede che la figura sportiva del preparatore dei portieri andrà sempre di più in crescendo?
“Se è cresciuta la figura del portiere non si può dire lo stesso della figura del preparatore. Spesso sottopagata, troppo spesso neanche prevista da tante squadre anche di alto livello. Numerosi dirigenti dimenticano l’importanza di tale figura, spesso confondendola con quella di volenterosi o amici…”.